Proiezioni, riflessi e trompe l’oeil

Qualche sera fa, mentre percorrevo le strade di campagna che portano a casa, ad una curva mi è venuta incontro all’improvviso una bella luna, grande e luminosa. Nel vederla ho pensato subito, con un po’ d’ansia: “Chissà cosa sta facendo quello su Marte!!”. Una frazione di secondo dopo, calmandomi subito, mi sono invece detto: “Ma cazzo Simone, è un libro!”. Mi sono talmente immedesimato nella lettura di un libro (“L’uomo di Marte” di Andy Weir), che Mark Watney (“quello”) è diventato reale. Mi sono sentito trafelato per un personaggio inesistente, ancor più inesistente perché nessun essere umano è ancora ammartato sul pianeta rosso. Mi sono sentito anche un po’ schizofrenico e vagamente stranito. Ma ho poi riflettuto su quanto siano importanti i libri, su quanto possano arricchire la vita di una persona. Con i libri ho fatto viaggi ed esperienze in ogni epoca e in tanti mondi, ho rivissuto il mio passato e annusato il mio futuro, in un costante gioco di proiezioni, riflessi e trompe l’oeil. E tutto questo con 26 lettere. Nella giusta sequenza.

Figate (o il grandangolo – parte VI)

“Mi raccomando, la settimana pronto ad andare a Doha!! …che tra l’altro, è una FIGAATA!”
“Veramente se devo farmi un bel giro, vado più volentieri ad Asolo… anzi una figata per me è un cicchetto a Treviso.”

Ma avete mai riflettuto davvero abbastanza su quanto sia tutto puramente una questione di prospettive? di grandangolo?

Casablanca (o il grandangolo – parte IV)

Ho lasciato il mio zaino con computer, fotocamera e documenti, bene in vista sul sedile anteriore della Citroen. Sono andato a pranzo con i colleghi e, una volta tornato, era ancora lì. Non mi sarei mai sognato di farlo in Italia, non solo in un Autogrill (notoriamente luogo di saccheggio), ma nemmeno in centro a Padova. Però, fino a una settimana fa, non avrei mai pensato di farlo a Casablanca.
Le rassicurazioni del mio collega Mohammed e la sua insistenza a lasciare tutto in macchina in quanto avrei ritrovato i miei effetti personali tutti esattamente lì, hanno disintegrato i miei pregiudizi e preconcetti.
Casablanca dunque è più sicura di molte città italiane.

Ma avete mai riflettuto davvero abbastanza su quanto sia tutto puramente una questione di prospettive? di grandangolo?

P.S.: e il pranzo a base di pesce è stato ottimo!

2020-1980: io ho viaggiato nel tempo

Il viaggio nel tempo dal 2020 al 1980 dura circa due ore, più o meno il tempo necessario per andare in treno dalla stazione di Visp (Svizzera) a quella di Milano Centrale.
A Visp non lontano dalle grandi industrie chimiche svizzere, il cielo è azzurro e terso, l’aria pulita. Avvicinandosi progressivamente a Milano si entra in una cappa grigia e immobile.
Alla stazione di Visp non c’è nemmeno un addetto alla pulizia, ma i pavimenti sono tutti semplicemente perfetti. A Milano un uomo corpulento dorme sulla macchina pulitrice, ogni tanto percorre qualche metro, ma per terra e lungo i fianchi delle banchine scorrono rigagnoli scuri.
A Visp ci sono ampie rampe per chi ha difficoltà motorie, o semplicemente un trolley da trascinare. A Milano, poi a Padova e a Monselice, gradini, gradini e gradini.
Alla stazione di Visp trovi subito la biglietteria: lì i cartelli sono in quattro lingue e non c’è fila di attesa (nemmeno una persona). A Milano la biglietteria non è chiaramente indicata, per trovarla devi scendere le scale e girare su te stesso; lì  i cartelli sono monolingua, ti trovi 30-40 persone davanti (prendi un numero come dal salumiere) e butti via mezz’ora della tua vita.
In Svizzera accettano la carta di credito ovunque, in stazione a Milano puoi prenderti un panino solo in contanti.
A Visp di venerdì mattina in treno ci vai con gli sci o la tavola da snowboard, perché la qualità della vita è importante. A Milano di venerdì mattina, non puoi che lavorare.
Uno dei problemi degli italiani è che non viaggiano, quando invece dovrebbero non solo mettere il naso fuori confine, ma andarci con due occhi grandi così e muti. Dovrebbero tacere e osservare. Allora forse… Eppure quando ho raccontato del mio viaggio nel tempo all’uomo della strada, questo mi ha detto: “Saremmo potuto riuscirci anche noi, in fondo la Svizzera è a un tiro di schioppo”. No, non penso che avremmo mai potuto.
Tra qualche mese ci saranno i mondiali di calcio: tutti si riscopriranno patrioti, metteranno il tricolore alla finestra, e si sentiranno ardenti schiavi di Roma. Io mi auguro che sia una totale disfatta per gli Azzurri, perché se malauguratamente andasse bene per la nazionale di calcio, o anche solo discretamente bene, tutti vedranno la rinascita del Paese, l’occasione del riscatto, i segni della ripresa. Quasi quasi in quei giorni mi farò un giro a Venezia, a vedere il leone trionfare sui gonfaloni. E forse mi sentirò anch’io patriota.

“Allora come hai ritrovato Zhongshan?” “Cambiata.”

Che Angelo non sia mai stato un campione di eloquenza era piuttosto noto. Sono infatti altre le qualità che gli vengono riconosciute…
Ma è opportuno fare un passo indietro. Tra il 2009 e il 2010, durante la mia permanenza a Zhongshan, Angelo è stato un carissimo amico, nonché vicino di casa. Entrambi siamo poi ritornati in Italia e alle nostre vite nell’ex Bel Paese: lui a Torino ed io in provincia di Padova. Negli ultimi tre anni siamo sempre rimasti in contatto, tenendoci aggiornati sugli sviluppi personali delle nostre vite, e mettendo spesso in comune il nostro malcontento e insofferenza per un lavoro che singhiozza a livello di soddisfazioni e miglioramenti retributivi (“i schei”…). Da quando siamo rientrati in Italia, fino a un paio di settimane fa, nessuno dei due era più tornato in Cina. Angelo, però, proprio di recente, su proposta dell’azienda per cui lavora, è tornato a Zhongshan, dove rimarrà per diversi mesi.
In questi ultimi tre anni, guarito un po’ a fatica dal mal di Cina, sono rimasti dentro di me solo due sentimenti: il desiderio, penso insito nel mio carattere, di conoscere posti nuovi e preferibilmente lontani, e la curiosità, se mai si fosse presentata l’occasione, di rivedere Zhongshan e la Cina. Questo secondo desiderio sinceramente si è però ridimensionato dopo un sintetico scambio di messaggi da 9000 km di distanza (vedi titolo del post).
In effetti, che senso avrebbe ora rivedere Zhongshan? Rifatto il giro dei soliti posti, quanti giorni riuscirei a rimanerci prima di diventarmi stretta? E se l’odore delle Cina fosse cambiato? Forse è il caso di tenersi un po’ di ricordi, dai colori sempre più sbiaditi e, ora più che mai, vivere questo mio tempo presente.

Legami di sangue

Da ogni viaggio si porta a casa qualcosa.
Dall’ultima viaggio, di lavoro e per altro brevissimo, porto a casa un’immagine. Ero all’aeroporto Marco Polo di Venezia, in attesa di imbarcarmi, quando ho assistito alla scena di una nonna che salutava suo nipote, consegnandolo direttamante nelle mani di una hostess. E’ stato toccante vedere un ragazzino così piccolo fare un viaggio in aereo da solo, ma lo è stato ancora di più sentire, percepire, l’amore enorme dietro quel saluto e vedere la nonna non riuscire a staccare gli occhi dal ragazzo, fino a quando quest’ultimo non è scomparso dalla sua vista.
Mi sono venuti gli occhi lucidi e mentalmente ho pronunciato due parole: “il sangue…”.

Un anno senza aereo

Credo che la voglia di un viaggio, specialmente se verso un luogo lontano, debba venirti da dentro.
E’ forse per questo che da quasi un anno non metto piede in un aeroporto. Niente check-in, carte d’imbarco, controlli di sicurezza, timore di aver scordato qualcosa, trolley scassato, jet lag.
Mi è servita davvero una lunga pausa per ritrovarmi, per risentirmi di nuovo a casa dopo un anno e mezzo trascorso in Cina. Per cancellare quel senso di sdoppiamento, quando l’anima diventava un’aurea sbiadita, dai contorni indefiniti, che come fumo si disperdevano nell’aria, verso altri luoghi, altre atmosfere.
Eppure adesso è come se tutto finalmente ricominciasse, se tutto avesse un nuovo inizio e, soprattutto, finalmente un senso.